Le Boulevard du Crime

Le Boulevard du Crime
© Musée Carnavalet / Roger-Viollet

Ebbi occasione di conoscere questa tela di grandi proporzioni e poco nota, “Vue générale des théâtres du boulevard du Temple, avant le percement du boulevard de Prince-Eugène, en 1862”, all’indomani di una mia recita al Théâtre des Champs-Elysées a Parigi, nel 2012, grazie allo straordinario storico francese – e grande rossiniano – Jean-Marie Bruson, all’epoca conservatore del Musée du Carnavalet (il museo della storia di Parigi), che annovera il dipinto nella propria collezione.
L’autore, Martial Potémont (1828–1883), rappresenta un luogo, oggi pressoché irriconoscibile, famoso per essere il boulevard nel quale si ergevano diversi teatri, dal Théatre Historique fondato da Alexandre Dumas al Funambules, Délassements-comiques, Cirque Olympique…, uno di fianco all’altro e protagonisti di proposte di diverso tipo, dal mélodrame al vaudeville, calamita per un pubblico a dir poco variegato e attirato da Pierrot e Offenbach, dai cafés o anche semplicemente dalle danseuses e dagli ospiti di quei palcoscenici tutti forniti di un’orchestra stabile.
Nel 1862 Napoléon III annuncia un nuovo piano urbano che prevede la profonda revisione dell’area con un nuovo progetto, per mano del celebre Haussmann: déménager ou disparaître (traslocare o sparire) dunque, con la conseguenza inevitabile della demolizione di quei teatri.
L’autore ci restituisce con il suo dipinto, e attraverso la lente della sua nostalgia, un documento storico di insospettabile valore.
Quei teatri, così ravvicinati e attivi contemporaneamente, inevitabilmente generavano assembramenti, rischiosi soprattutto perché difficili da controllare in caso di discussioni o peggio, disordini. Ed è in questo boulevard che nel 1835 avvenne l’attentato al re Louis Philippe che vi passava con le sue truppe, episodio che, ultimo di una lunga serie di tafferugli e in concomitanza di numerosi crimes et meurtres sur scène, gli valse l’appellativo di “Boulevard du Crime”, e che segnò anche la fine di quei teatri, apparentemente, in nome di un nuovo assetto della città.
Quasi ad additare come soluzione per controllare folla – o crimine – l’abbattere quei teatri.

Brivido, no?

Ripensarci oggi, all’indomani di un ulteriore ingiustificato accanimento nei confronti della produzione teatrale – ci viene detto causa pandemia – lascia spazio a più di una amara riflessione.
La politica in Europa (Gran Bretagna inclusa) sta seguendo un trend francamente opinabile, sulla base di primitiva mentalità, come quella che traspare dalla storia del dipinto, quando la piazza è ormai stata sostituita dai sovrabbondanti social media; …eppure a pagarne il prezzo ancora ‘i teatri’ e i loro protagonisti.
Il (finalmente) compatto mondo della produzione musicale, teatrale, operistica, tersicorea, cinematografica non ci sta: sa di aver fatto il possibile per proteggere la salute di tutti, dai professionisti al pubblico e con pregevoli risultati, considerato che la ‘curva’ non si è certo incrementata a causa dei suddetti. L’evidenza chiamata più volte a confronto, a seguito dei provvedimenti, resta non pervenuta (s’insinua inoltre il dubbio dell’efficacia delle norme stesse se la loro applicazione ha portato alla chiusura).
“Il nemico è il virus”, dice il Presidente Sergio Mattarella, al quale fanno coda altri leader europei.

No.

Forse la prima volta in primavera, Presidente, non questa in autunno, che sentiamo forte come una punizione senza aver commesso il crime. Siamo stati parcheggiati per la maggior parte dell’anno preservando la salute di tutti, a partire dai nostri cari che abbiamo scelto, in molti, di non andare a visitare per evitare ulteriori danni, e dovendo eventualmente scegliere di mettere la nostra salute a repentaglio per andare a lavorare, qualora una chiamata si fosse materializzata, e per quei pochi a cui questa ‘fortuna’ è arrivata, proprio perché questa fascia di lavoratori non è tutelata. Già, questa è la discussione: la nostra categoria (che vorrei tanto non fosse definita così) si sa non essere protetta da particolari strumenti come sindacati o associazioni a difesa dei diritti d’autore, ancora in grandissimo affanno, il che ci rende attaccabili.
Perché se invece a innervosirsi sono i lavoratori del trasporto e della sanità, buonanotte suonatori (appunto).

I mesi estivi servivano a incrementare, migliorare, aggiornare, razionalizzare, strutture sanitarie, scuole e trasporti con quegli stessi soldi che sono stati e stanno per essere nuovamente spesi per tenere la gente a casa (risorse che comunque non ci sono).
Lo abbiamo ‘appena’ imparato: i lockdowns hanno mostrato la loro inutilità, quando fini a sé stessi.  E ormai, con un effetto domino, i vari governi europei si sostengono l’un l’altro, spalla a spalla per restare in piedi, applicando le stesse vacue regole attraverso decreti e de-cretini. Qui non sono da auspicare dimissioni (che porterebbero sollievo), al contrario assunzioni piene di tutti gli effetti collaterali di decisioni folli e insensate. E’ l’ora di quella responsabilità tanto vociferata ma non applicata che porti alla risoluzione di questo disastro!

Europa avrebbe dovuto significare, invece, mettersi attorno a un tavolo per stilare un protocollo unitario di comportamento (facendolo osservare, visto che ancora oggi irresponsabili di vario genere continuano a circolare a ‘faccia’ libera) analizzare la vera causa di questo aumento di contagi, invece che lo stillicidio perpetrato quotidianamente come a colpevolizzare, ma in verità per giustificare l’attuale operato fallimentare.
Serve invece il denaro dei liberi professionisti – tra cui gli artisti – che con il contante versato attraverso le tasse da sempre provvede alla copertura di buona parte di quelle spese. Senza alcuna evidenza, veniamo fermati nuovamente, senza aiuti (già, perché se si supera di poche migliaia di qualsiasi valuta la soglia prevista per le tutele si è fuori dalle tutele stesse, manco a dire che chi ha guadagnato appena di più in passato non abbia molte più spese relative, dalla famiglia alla filiera lavorativa della quale è parte integrante).
E peggio, con la mortificazione del valore della persona e di quanto ha investito per fare di questo – preparandosi attraverso una rigorosa disciplina per lustri – una ragione di vita.

La percezione è che si additi alla Cultura come non necessaria, a quella paura nei confronti delle idee, quelle stesse che fanno tremare governi e dittature da sempre, perché si sa, possono essere eversive e… contagiose.

© Anna Bonitatibus, 31.10.2020