Chissà se Anna Bonitatibus realizzando la sua sontuosa performance – entusiasmante nel canto sempre bellissimo dell’artista, con la sua voce ricca, armonicissima, flessuosa, la dizione a scandire un fraseggio articolato e intelligentissimo, non solo nell’attenzione della parola ma anche al modo di accentarla secondo lo stile combinato della poesia e della musica (non sempre coetanei, come mostrano i pezzi di Arturo e di Castelnuovo), sul quale costruire il microcosmo della romanza e l’arcata complessiva del concerto – chissà, dicevo, se la straordinaria cantante si è resa conto di abbozzare un ritratto della cultura italiana di deprimente povertà intellettuale.