A che punto siamo.

A che punto siamo: qualche buona notizia.
In alcune riflessioni pubblicate qui ai primi di aprile sollecitavo la necessità di proposte creative con il fine di ipotizzare scenari diversi dalle chiusure e cancellazioni di stagioni e festivals che affliggono un po’ tutto il mondo, immaginando come mantenere ‘vivi’ Musica e lavoro. Accomunati dalla stessa urgenza, in molti ci si è rimboccati le maniche e alcune notizie confortanti – che peraltro sembrano attrarre meno di quelle sconfortanti – cominciano ad arrivare.
Dall’Italia, in particolare, paese tra i più colpiti dall’emergenza (ma anche da tossica polemica politica): come non apprezzare le iniziative di istituzioni, festivals, associazioni, singoli artisti che non cessano di sottoporre all’attenzione delle autorità lo stato in cui versano teatri, dipendenti e lavoratori autonomi, attraverso la progettazione di soluzioni alternative per consentire la produzione di spettacolo dal vivo grazie alla sperimentazione di nuove forme.

Che smart-performing (in situ) si traduca anche nella grande occasione di riscoprire un vasto repertorio sino a ora meno frequentato: dal Recital (vocale, strumentale e per ensembles) all’Opera buffa (meno abbracci e più imbrogli) o Opera seria barocca (assenza di assiemi) ma anche, come si diceva, per spettacoli di ampio respiro, attraverso l’uso delle platee per il coinvolgimento di orchestre, cori e danzatori sempre nel rispetto della necessaria cautela e delle norme di sicurezza per interpreti come per l’eventuale pubblico presente.
Si può fare, assicurando la professionalità necessaria e dal vivo.
Condividendo via streaming: questo strumento, da considerare un alleato (non un avversario), resta, al momento e anche se piace poco, quello più largamente utilizzato dai fruitori dell’arte, della musica, dell’opera, della danza, del teatro.

E’ di questi giorni l’ottima notizia dell’approvazione, dopo anni di procedimenti (e passata inosservata) del trattato di Pechino (WIPO) che protegge i diritti intellettuali – in pratica, entrate per i creatori di contenuti – e che arriva proprio nel momento di maggiore fruizione degli spettacoli attraverso le piattaforme disponibili in rete. Un’ottimo segnale che aiuterà gli artisti al miglioramento dei contratti da stipulare da qui in avanti e che fa ben sperare nell’attuazione di spettacoli fruibili online ma dietro pagamento di un biglietto. E’ un argomento che va affrontato: l’emergenza ha creato la prolificazione di performances, spontanee in un primo momento, poi discutibile caccia alla visibilità, e assieme il rischioso equivoco che la musica non venga considerata come deve, cioè una professione.
Non un passatempo. Bisogna indirizzare la formazione anche in questa direzione e spiegare bene che tra le manifestazioni casalinghe e le premieres blasonate esistono intere categorie di professionisti, centinaia di migliaia di musicisti in ogni paese che attraverso il proprio lavoro contribuiscono al benessere intellettuale ed economico mondiale.

 

 

 

 

E la Formazione?
Se ne parla poco, ma il mondo della formazione è il settore più colpito assieme a quello della produzione musicale e attraversa una grave crisi a causa della chiusura delle scuole e degli istituti universitari, provati oltretutto duramente dalle metodologie di fortuna, già diventate consuetudine per permettere lo svolgersi dei corsi.
Viene in mente lo slogan lanciato attorno agli anni ’80 dai tipi della Microsoft: «A computer on every desk and in every home.» (Un computer su ogni scrivania e in ogni casa).
Sapendo come è andata a finire, sarebbe bellissimo poterla tradurre anche in musica, ossia «Uno strumento musicale in ogni casa».
Un pensiero va anche a quel progetto straordinario che è l’Erasmus e al quale partecipano migliaia di studenti e futuri professionisti.
Qual’è la lezione che dovremmo imparare da quello che sta accadendo e quale l’occasione da non perdere?
Lo chiedo a Elisabetta Pasquini, Professoressa associata, Dipartimento delle Arti, Università di Bologna e coordinatrice del Corso di Laurea in DAMS:

«In questo difficile momento di emergenza la formazione universitaria ha subito un forte scossone, ma non si è davvero fermata del tutto; le università italiane e molte europee – chi più, chi meno, e con modalità via via diverse – si sono attrezzate per erogare a distanza, ossia in via telematica, pressoché tutta la didattica che prima avveniva in presenza. Nella migliore delle ipotesi anziché davanti a una classe, fatta di studenti con vissuti diversi, i docenti hanno impartito le loro lezioni davanti a una webcam, senza una reale possibilità di dialogo con i loro interlocutori privilegiati; nel volgere di qualche giorno, si sono trovati a sperimentare – loro malgrado – una delle possibili declinazioni della tanto vagheggiata ‘didattica innovativa’, ossia efficace per tutti, raggiungendo nelle loro case e tramite connessione internet, i loro studenti. Quanto stiamo sperimentando ora rappresenta una sfida per il futuro, nella misura in cui dovremo inevitabilmente riflettere su come potremo, in un panorama che si prefigura ancora incerto, garantire a tutti l’accesso allo studio; e come, quando finalmente la situazione volgerà alla normalità, sarà possibile impiegare fruttuosamente gli strumenti sperimentati per favorire gli studenti più svantaggiati (lavoratori, fuori sede, con disturbi dell’apprendimento, ecc.). Ma se c’è una lezione che val la pena ribadire in questa circostanza, è proprio questa: nella formazione universitaria, e nella formazione tout court, la relazione biunivoca che si instaura tra studente e maestro è insostituibile; e l’arricchimento che discende dallo scambio in presenza, dalla condivisione di un percorso umano ancor prima che di apprendimento, non ha eguali. La gratitudine e la commossa partecipazione degli studenti, conosciuti in aula e accompagnati in questo accidentato iter formativo, ne sono un’evidente testimonianza.»

 

 

 

 

 

Festa dell’Europa: la ragazza compie 70 anni.
Quando nei primi anni Novanta cominciai a percorrere quel chilometraggio che è questa professione, si era costretti ad avere sempre pronte in tasca diverse valute in (ovviamente poche) banconote di Lire, Marchi, Franchi francesi, Franchi svizzeri, Pesetas, Scellini austriaci (bancomat e carte di credito rappresentavano più un problema che una soluzione rispetto a oggi) e con i documenti necessari per entrare e uscire nei e dai singoli Paesi d’Europa. Attraversare le frontiere non era così semplice oltre che estremamente costoso, talvolta persino una mortificazione, ma è anche vero che davanti alle difficoltà dichiarare la propria professione di Cantante d’Opera (con contratti alla mano da mostrare) ha rappresentato una sorta di lasciapassare emotivo e morale, che ha compensato talvolta i tanti disagi.

Ricordo, anche l’arrivo della moneta Euro: nel 2001 acquistai il primo kit di spiccioli che serviva per familiarizzare con quel cambiamento epocale percepito come estraneo. Eppure è innegabile che la vita – e la professione – d’artista ne abbia tratto solo vantaggi (moneta comune, libera circolazione, coproduzioni tra teatri, digitalizzazione di intere biblioteche, turismo, ecc.) e molti altri potrebbero essere raggiunti se dalla crisi che stiamo vivendo si creasse l’opportunità di continuare quel processo comunitario rimasto sospeso. Lo so, è complesso, ma ho il sentore che chi vorrebbe una Europa à la carte alla quale contestare tutti i mali possibili è anche chi non la percorre e quindi non la vive.
Che non sia proprio la voce dei musicisti, mai forte come ora, a offrire questo grande contributo per una visione duratura consentendo la maturazione di questa ‘ragazza’ attraverso una rinnovata legislazione?
L’elezione della Musica a Bene necessario, a livello europeo per cominciare, potrebbe essere al contempo quel grande passo avanti, oltre che una lezione, costituendo la salvaguardia per TUTTI i lavoratori, anche noi autonomi al momento tagliati fuori, in caso di emergenza.

Si è avviata in questi giorni una discussione sull’unificazione del fisco a livello europeo, ça va sans dire, una proposta complicata da attuare, ma nella pratica per noi artisti in viaggio, potrebbe essere finalmente un sollievo. Pochi sanno quanto tempo prezioso allo studio e alla professione portano via le carte fiscali: ogni paese ha le sue regole e ciascuno di noi (assieme al proprio commercialista) è costretto a imparare, proprio malgrado, cosa significhi essere l’azienda di se stesso, impazzendo letteralmente per scansare errori e equivoci che costano carissimi.

Tanto per cambiare, alcune proposte che rivolgo in particolare a Ursula von der Leyen e a David Sassoli:

  • la sospensione della VAT / IVA per i prossimi due anni a partire da ora per gli autonomi rimasti senza lavoro sarebbe un grande aiuto;
  • la creazione di una VAT / IVA comunitaria;
  • l’esenzione VAT / IVA dai propri acquisti (scontrini) nel paese di cui svolge la professione temporanea che sino a ora non offre alcuna possibilità di recupero.

La revisione (ancora meglio la cancellazione) dell’obbligo di questa applicazione sarebbe già un modo per snellire burocrazia e restituire denari a tutti quei professionisti che non rientrano in alcuna categoria di aiuti.
Purtroppo dalla maggioranza dei provvedimenti in atto è esclusa la maggioranza degli artisti-contribuenti che spingono per tornare a lavorare: è l’unica cosa che possiamo e sappiamo fare per affrontare le disastrose ricadute in questo tempo di grave crisi.

9 Maggio 2020
© Anna Bonitatibus