Inutile girarci intorno: gli artisti saranno gli ultimi a tornare alle proprie professioni. Chissà quando.
E quando avverrà – viaggi permettendo – si troveranno quasi sicuramente davanti a modalità inusuali di esecuzione come del trattamento dei propri (sparuti) diritti e del compenso. Si tratta di un’annosa questione, se venga il cittadino prima dell’artista, viceversa, entrambi in egual misura. È anche questione di percezione per la quale lancio un je m’accuse, per aver sempre difeso la magia che veste la performance dagli aspetti tecnici, pragmatici e burocratici preparatori alla sua produzione preservando il diritto inalienabile alla bellezza (ma anche come strumento per rinnovarne i suoi fruitori), o forse ancora retaggio di un modo polveroso di vivere – e percepire – la forma d’arte.
Questa percezione ha molto a che fare con quanto in termini pratici avviene nella gestione della produzione culturale – e di quella bellezza, diventata ormai un contenitore suggestivo ma in sé indefinito. Anche nel pieno di un momento drammatico attivare la lucidità è necessario per cogliere l’opportunità di rivedere, riformare, quella percezione di eccezionalità e privilegio che l’artista – e quello che produce – incarna. In essence il lato B della magia, ossia quanto il cittadino (tax-payer), prima che artista, sottoscrive attraverso contratti e liberatorie che gli consegnano il lasciapassare all’espressione.
Il punto “0”.
Il punto “0” che separa l’arrivo a questa situazione dalla partenza verso nuovi immaginari (Ante-Epidemia / Post-Epidemia) costituisce un necessario motivo di analisi alfine di individuare una visione e condividere una riflessione che parta dall’interno della comunità musicale-culturale e raggiunga … praticamente tutti.
Produrre costa: progetti di piccola e larga scala, produzioni internazionali, (cosa non lo è ai tempi della globalizzazione dello streaming e dei social-media?) coinvolge un tale numero di professionisti chiamati a realizzarli e con essi obblighi legali e fiscali, manageriali, logistici, di preparazione, persino di assunzione di rischi, tutto assai prima che la rappresentazione arrivi al pubblico, in un domino di regole che questi giorni drammatici hanno visto polverizzarsi nell’effetto (autoritario?) da “cancellazione” a discapito di migliaia di lavoratori. Cancellare la programmazione è una tra le soluzioni più in voga tra le istituzioni al momento, sbrigativa, annulla un intero settore di prestazioni, oltre alla perdita di tutto il pubblico (che però riceve la restituzione o meno del biglietto oltre alla panacea degli streamings), in nome di una clausola – a latere delle ordinanze di chiusura dei luoghi delle rappresentazioni – chiamata “Forza maggiore”. Quest’ultima è senza dubbio un concetto opinabile nel caso di epidemia, peraltro non condiviso nella stessa misura da tutti i paesi che ne invocano l’applicazione, ma ha già tristemente reso quei contratti – e così artisti e professionisti – carta straccia.
La storia si può riscrivere e i contratti no?
Improvvisamente un gigantesco tacet si è abbattuto su strumentisti, ballerini, scrittori, pittori, cantanti, direttori d’orchestra, autori, compositori, attori, registi, scenografi, costumisti, managers… quale miglior momento per comprendere quanto arte-musica-cultura-sapere siano beni necessari a ciascun essere umano e quanto il lavoro di ogni singolo professionista costituisca un tassello di quella ricca e variegata filiera di economia transnazionale e generatrice de facto di sostanziale PIL in tutti i paesi coinvolti dall’emergenza. Al momento il conto lo pagano gli artisti e con loro tutti quegli operatori che costituiscono il popolo della professione libera (IVA/VAT) che non può più contare su introiti ma per il quale l’algoritmo dei costi e del fisco è inesorabile.
Lo spettacolo “dal vivo” inteso come lo conoscevamo nell’Ante-Epidemia rischia di assumere un carattere ideologico se non manteniamo viva la necessità di esprimerci; altrettanto, il diritto d’autore, in tutte le sue forme, continuerà a naufragare in un disordine fazioso, se non ci si impegna a trovare opportune e nuove soluzioni.
In attesa che la politica trovi il bandolo della matassa e traduca in fatti il burocratese, rimbocchiamoci le maniche e cerchiamo proposte per continuare a lavorare e produrre quel cash che immesso nelle tesorerie dei singoli paesi, assicura a tutti, ad esempio, l’assistenza sanitaria combinando, al contempo, la richiesta, divenuta sovrabbondante nel corso dell’emergenza, di contenuti e di intrattenimento.
Restate a casa – Veniamo noi da voi.
L’invito / consiglio / ordine / decreto / legge / obbligo, a seconda dei singoli paesi colpiti dall’epidemia, di restare a casa ha sollevato prepotentemente la domanda di intrattenimento per mantenere – nel contenere – le persone lontano dal rischio contagio per se stessi e per gli altri.
Nell’infinità di contenuti disponibili la fanno da padrone quelli audio-visivi proposti da piattaforme indipendenti note, Film e Serie Tv, ma anche tanta Opera e concerti: l’accesso ai primi è facile, basta pagare l’abbonamento alla piattaforma che fornisce il servizio (e a giudicare dal successo sottoscriviamo in molti) e i proventi vengono suddivisi tra diritti, distribuzione, produzione, in percentuale anche artisti e managers.
L’accesso ai secondi è gratuito, produce introiti pari a zero, con conseguente riconoscimento pari a zero nei confronti di distribuzione, produzione, artisti e managers, per i diritti rilasciati al momento del contratto per quell’ingaggio della tal produzione nel tal istituzione, Ante-Epidemia.
Questo è accaduto anche a causa di quella percezione di cui sopra e che pare aver dettato le regole: il Cinema (anche se da casa) si può pagare contribuendo così al suo sostentamento, Musica / Arte / Cultura “devono” essere gratis (malgrado finanziamenti pubblici e privati), per quel discutibile principio da free-economy secondo il quale distribuendo gratis si raccoglie consenso.
Una cosa è certa: ci sono più smartphones e tablets che teatri e sale da concerto; non è venuto il momento di ripensare il loro posizionamento e funzione in quell’ossimoro necessario che è il mercato dell’Arte?
Idee.
Riprogrammare i palinsesti delle stagioni in corso e le proposte dei Festivals estivi garantirebbe i diritti agli artisti e operatori culturali, manterrebbe, inoltre, i rapporti con il pubblico, salvaguardando anche la stessa reputazione dell’istituzione promotrice.
È questa l’occasione per le direzioni artistiche, team creativi, redazioni, di mostrare le proprie abilità e riconvertire la programmazione – potendo contare su budgets già approvati – ricalibrando i contenuti con rappresentazioni a porte chiuse e screens accesi, coinvolgendo artisti disponibili in loco (per ri-cominciare) e in ottemperanza con le giuste regole di salvaguardia e sicurezza: si può suonare / cantare / danzare / recitare a due metri di distanza (ad esempio utilizzando platea e parterre).
Monetizziamo il potere della visualizzazione dei contenuti attraverso il feticismo dell’acquisto (biglietto online) e non contando solo sulle donazioni. Si può fare, calmierando il costo del biglietto secondo il bacino della propria utenza e favorendo, al contempo, nuove strategie per pubblicità e sponsorizzazioni.
Dobbiamo e possiamo farlo “anche” per mantenere viva l’aspirazione negli artisti del domani, alle soglie di investimenti importanti per il proprio futuro e per i quali rappresentiamo un punto di riferimento, anche nel momento della riflessione e della riconversione epocale della produzione e fruizione dell’Arte.
5 aprile 2020
© Anna Bonitatibus